DI MARIO ROSALDO
AGGIORNAMENTO: 3 NOVEMBRE 2017
In ultimo articolo parlavamo di quella ricostruzione retrospettiva che possiamo fare del nostro percorso critico, seguendo le tracce che abbiamo lasciato nel cammino della nostra ricerca. Inoltre parlavamo di questo lavoro come il mezzo che ci porta giusto fino al momento in cui ha luogo la nostra prima riflessione sulla realtà da qualche parte nell'infanzia; riflessione che non sorge mai fuori del pensiero dominante, fuori delle rappresentazione legale e morale dello stato e la religione, ma che gli oppone un punto di vista proprio, benché nel principio sia frammentario e fragile. Ebbene, questo apparente essere dentro e fuori allo stesso tempo nella «realtà» imposta dal discorso ufficiale, sembra succedere solo a quelli la cui attività, o azionare, permette loro di dirigere i sensi sulla forma dell'oggetto stesso, e non veramente sulle parole che lo definiscono o sostituiscono. Tuttavia non è così. Questa ambivalente posizione è condivisa anche dai bambini e dagli adolescenti che prestano molta più attenzione al discorso: alcuni imparano a simulare un immediato adattamento alla realtà discorsiva, proprio perché hanno scoperto nelle fasi iniziali che molte parole, se non tutte, sono solo astrazioni che non corrispondono in alcun modo alla natura e alla società presumibilmente riferite; altri imparano a ribellarsi, o a sfruttare la situazione; le tendenze scettiche, anarchiche ed opportuniste sorgono tra loro.