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sabato 8 maggio 2010

Le possibilità della critica contro il discorso dominante

DI MARIO ROSALDO
AGGIORNAMENTO: 3 NOVEMBRE 2017



In ultimo articolo parlavamo di quella ricostruzione retrospettiva che possiamo fare del nostro percorso critico, seguendo le tracce che abbiamo lasciato nel cammino della nostra ricerca. Inoltre parlavamo di questo lavoro come il mezzo che ci porta giusto fino al momento in cui ha luogo la nostra prima riflessione sulla realtà da qualche parte nell'infanzia; riflessione che non sorge mai fuori del pensiero dominante, fuori delle rappresentazione legale e morale dello stato e la religione, ma che gli oppone un punto di vista proprio, benché nel principio sia frammentario e fragile. Ebbene, questo apparente essere dentro e fuori allo stesso tempo nella «realtà» imposta dal discorso ufficiale, sembra succedere solo a quelli la cui attività, o azionare, permette loro di dirigere i sensi sulla forma dell'oggetto stesso, e non veramente sulle parole che lo definiscono o sostituiscono. Tuttavia non è così. Questa ambivalente posizione è condivisa anche dai bambini e dagli adolescenti che prestano molta più attenzione al discorso: alcuni imparano a simulare un immediato adattamento alla realtà discorsiva, proprio perché hanno scoperto nelle fasi iniziali che molte parole, se non tutte, sono solo astrazioni che non corrispondono in alcun modo alla natura e alla società presumibilmente riferite; altri imparano a ribellarsi, o a sfruttare la situazione; le tendenze scettiche, anarchiche ed opportuniste sorgono tra loro.

venerdì 17 aprile 2009

L'insufficienza del discorso nell'arte

DI MARIO ROSALDO
AGGIORNAMENTO: 3 NOVEMBRE 2017



Quando Armando Plebe scrive, nel suo piccolo libro sull’espressionismo, che Hofmannsthal aveva già denunciato apertamente ai primi del secolo XX l'insufficienza del discorso con la frase «le parole mi si disfano nella bocca come funghi morbosi»*, non solo ci spiega che prima di questo movimento tedesco almeno un autore simbolista si aveva anticipato al grido ed alla liberazione dell'istinto, dell'inconscio, ma anche ci afferma che l'espressionismo aveva dato una forma particolare a quello che si sapeva già da molto tempo e non si discuteva ad alta voce. Plebe pone l’enfasi sul fatto che l’espressionismo non era un movimento artistico senza radici, senza storia. Comunque, il riferimento a Hofmannsthal, Freud, Husserl e, in generale, al contrasto tra i simbolisti, gli impressionisti e gli espressionisti, suggerisce un approccio classico di tipo determinista chi cerca di spiegare le azioni e le idee individuali soprattutto come prodotti di un fenomeno storico-sociale. Secondo questo approccio, la realtà non è altro che una infinita catena di cause ed effetti la cui origine è essa stessa. Per questa ragione si può dire che Hofmannsthal apparteneva alla sua epoca, che egli era soltanto il portavoce di una generazione ed anche della aristocrazia del suo tempo, ma non si può spiegare perché Hofmannsthal assumeva tale ruolo e non qualsiasi altro autore. Fortunatamente, il detto approccio non ha bisogno di questa spiegazione, li basta sapere che Hofmannsthal difendeva una concezione aristocratica e decadente contro il trionfalismo della borghesia. In questo modo, Plebe insinua sempre una serie di relazioni senza mai fissare un punto di partenza. La realtà si rappresenta come un numero infinito de cerchi concentrici i quali si allontanano indefettibilmente dal storico e dal critico d'arte.