DI MARIO ROSALDO
AGGIORNAMENTO: 3 NOVEMBRE 2017
Quando Armando Plebe scrive, nel suo piccolo libro sull’espressionismo, che Hofmannsthal aveva già denunciato apertamente ai primi del secolo XX l'insufficienza del discorso con la frase «le parole mi si disfano nella bocca come funghi morbosi»*, non solo ci spiega che prima di questo movimento tedesco almeno un autore simbolista si aveva anticipato al grido ed alla liberazione dell'istinto, dell'inconscio, ma anche ci afferma che l'espressionismo aveva dato una forma particolare a quello che si sapeva già da molto tempo e non si discuteva ad alta voce. Plebe pone l’enfasi sul fatto che l’espressionismo non era un movimento artistico senza radici, senza storia. Comunque, il riferimento a Hofmannsthal, Freud, Husserl e, in generale, al contrasto tra i simbolisti, gli impressionisti e gli espressionisti, suggerisce un approccio classico di tipo determinista chi cerca di spiegare le azioni e le idee individuali soprattutto come prodotti di un fenomeno storico-sociale. Secondo questo approccio, la realtà non è altro che una infinita catena di cause ed effetti la cui origine è essa stessa. Per questa ragione si può dire che Hofmannsthal apparteneva alla sua epoca, che egli era soltanto il portavoce di una generazione ed anche della aristocrazia del suo tempo, ma non si può spiegare perché Hofmannsthal assumeva tale ruolo e non qualsiasi altro autore. Fortunatamente, il detto approccio non ha bisogno di questa spiegazione, li basta sapere che Hofmannsthal difendeva una concezione aristocratica e decadente contro il trionfalismo della borghesia. In questo modo, Plebe insinua sempre una serie di relazioni senza mai fissare un punto di partenza. La realtà si rappresenta come un numero infinito de cerchi concentrici i quali si allontanano indefettibilmente dal storico e dal critico d'arte.
Essendo stato un espressionista, Walter Gropius pensava che le parole non potevano insegnare l'arte. Per lui si trattava di una questione puramente individuale, della capacità di disfarsi dei pregiudizi e di si mettere in contatto con l'inconscio, con quello che è stato represso. Il discorso intellettuale, soprattutto il discorso accademico, era lasciato alle spalle, per focalizzare l'attenzione sulla nuova visione. La nuova maniera di vedere il mondo e la vita partiva della liberazione interiore, spirituale, intuitiva e personale, ma anche della coscienza sociale, dell'idea che il lavoro di squadra —il lavoro comunale— potrebbe far possibile l'equilibrio desiderato dei componenti umani, della parte materiale e la parte spirituale. La conseguente sottovalutazione della tradizione accademica, il rifiuto del suo punto di vista storico, faceva pensare ad alcuni progressisti che si era in presenza di una tendenza antistoricista. Eppure quello che si rifiutava non era la storia della civilizzazione occidentale in sé, era solo il punto di vista prevalentemente razionale. L'attuale stigmatizzazione da parte dello storicismo e del razionalismo comincia con questa conveniente confusione. La ragione e l'ordine rappresentavano il progresso, l'avanzamento della storia, pertanto un ostacolo come il Moderno, chi questionava lo schema evoluzionista, dovrebbe essere superato a tutti i costi. La paura di ritornare alle tappe precedenti porta i tradizionalisti e progressisti a deformare il pensiero architettonico moderno allo scopo di screditarlo. Il disprezzo per le parole era stato preso come il disprezzo per la civiltà stessa. Oggi scopriamo che almeno Walter Gropius e Bruno Taut non erano funzionalisti, nemmeno antistoricisti, che invece di screditare il Moderno quello che i suoi critici hanno fatto è stato appropriarsi della sua eredità.
*Questa è la traduzione spagnola, in italiano abbiamo trovato almeno due forme di tradurre la frase di Hugo von Hofmannsthal, «... die abstrakten Worte, deren sich doch die Zunge naturgemäß bedienen muß, um irgendwelches Urtheil an den Tag zu geben, zerfielen mir im Munde wie modrige Pilze» (Lettera di Lord Chandos):
«le parole mi si sfacevano/sfarinavano nella bocca come funghi ammuffiti».Oppure:
«le parole mi si sfarinavano in bocca come funghi marci».Forse il traduttore spagnolo di Che cosa è l'espressionismo (Ángel Sánchez-Gijón) ha preferito «morbosi» ad «ammuffiti» o «marci».
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